Giovedì sera, dopo più di quindici anni, ci siamo ritrovati con i compagni di liceo per una cena.
La missione aleggiava da anni sopra le nostre teste, fino al momento in cui V., la somma organizzatrice, ce l’ha fatta e ha dato via all’iter.
Ci siamo messi in contatto tramite l’irreprensibile gruppo WhatsApp, aggiungendo via via tutti i componenti, almeno quelli che si sono resi reperibili.
La mia prima reazione è stata di sottile respingimento, non so esattamente perché, in classe mi trovavo bene ed ero in buoni rapporti con tutti, eppure l’idea di un rito nostalgico e un po’ trito mi ha messo in leggero allarme. Così ho risposto che l’idea mi piaceva, ma non mi faceva impazzire, perché alla fine molto sarebbe dipeso da chi ci sarebbe stato. Coerente fino allo spasimo con i miei stati d’animo ballerini, sono stata onesta fin da subito, tanto da chiedermi se questa onestà sia un vanto oppure una condanna.
Sono sicura che questo pensiero, questa tentazione al disertamento, sia passato anche per le menti di qualcun altro. Sono in un periodo di emozioni contrastanti, ho meno slancio e sono più nervosa, la mia luce - quella che cerco di alimentare ogni giorno - si è un po’ affievolita. Capita. Fa parte dell’esistere sentirsi meno a fuoco.
Complice anche questo mood altalenante ho attraversato fasi diverse: curiosità, euforia, neutralità, rabbia (non chiedetemi perché - avevo i miei motivi), di nuovo curiosità, euforia, neutralità. Alla fine convincimento. Ci vado, sarà quel che sarà.
Checché se ne possa pensare, non mi ha mai sfiorato il timore delle fatidiche domande sul cosa fai, chi sei, dove vai. Sono talmente abituata a rispondere - per altro alternando una schiettezza sfacciata a un pizzico di mistero ammiccante (e giuro senza farlo apposta) - che non mi sono preparata niente. Sono quel che sono, faccio quel che faccio. Non mi ha nemmeno sfiorato la preoccupazione di un eventuale paragone con chi fa questo o quello, anche perché più o meno so cosa fanno tutti e la varietà delle scelte di vita è una cosa che mi affascina più che mettermi in crisi.
Chissà come si saranno sentiti gli altri, se anche loro sono stati attraversati da stati d’animo diversi. Posso saperlo delle persone con cui sono in confidenza, degli altri chissà.
Fatto sta che quando sono arrivata e ho rivisto le persone con cui ho passato cinque anni della mia vita, quelle che avevo visto e da cui ero stata vista ogni giorno durante quegli anni essenziali, mi sono sentita a casa. C’è da dire che a quel tavolo non c’era nessuno che mi fosse mai stato antipatico, tuttalpiù con qualcuno potevo non aver avuto la stessa complicità che con altri. Guardavo queste donne bellissime con i loro trenta e passa anni addosso, essere le ragazzine che erano state, identiche. Non cristallizzate nel tempo, ma con la loro aurea intatta. Mi sono immersa in quegli anni sgangherati del liceo, quando tutto è un turbine, un viaggio scombinato, un sentire alle stelle. All’epoca probabilmente non sarei stata in grado di partecipare a una cena di classe senza che le mani mi sudassero, i pensieri impazzissero, queste persone hanno conosciuto una versione di me addomesticata; eppure molti di loro si accorgevano dei miei cedimenti, degli sguardi persi, dei crolli emotivi. Magari invece no, mi ricordano allegra, severa, ligia, leale. Spero si ricordino di quanto ero simpatica. Loro che sono scorbutica lo sanno, che sono malinconica lo sanno, che sono come sono lo sanno.
Quindi è stato come immergerci sott’acqua rimanendo ben ancorati al presente. Nessuno di noi rimpiange il liceo, nessuno di noi pensa a quel tempo là come a un periodo perfetto. Io no di sicuro. Ma com’era bello, col senno di poi, vivere tante cose per la prima volta, come era sfiancante e incommensurabile.
Mi sono ricordata di quando loro mi sembravano intatti, mentre io mi sentivo rotta, di come fremevo quando intravedevo crepe anche in qualcun altro. Li vedevo funzionare, io mi inceppavo. Li vedevo divertirsi, io ero testarda. Eppure nonostante la mia naturale propensione a stare fuori da qualcosa piuttosto che dentro, in classe ero dentro quel qualcosa, anche quando mi isolavo. Ero più dentro di quanto immaginassi e mi sono sentita dentro anche giovedì sera. Dentro la vita io c’ero. Ed è stato bellissimo rendersene finalmente conto.
Se state leggendo, grazie amici per la serata di giovedì: è stata rivelatrice.
A tutti gli altri (ma anche a voi ex-compagni di classe): come vi sentivate a scuola?
Scrivetemelo se vi va, sarebbe bellissimo fare un collage con le vostre risposte anonime.
Altro aggiornamento: la settimana scorsa avete risposto al sondaggio e con mio grande stupore siete tutti d’accordo nel ricevere la newsletter ogni sabato. Wow, grazie. Pensavo di avervi annoiato.
Ha vinto la formula un sabato di approfondimento più lungo, un sabato più corto.
Per gli argomenti trattati siete per il mio libero arbitrio.
Quando attingo dalla mia vita lo faccio sperando che quell’argomento o riflessione diventi qualcosa che riguarda tutti noi. Spero di non essere ombelicale, ma di aprire varchi.
Ci sentiamo la prossima settimana.
Vi abbraccio.
Sì, del liceo ricordo l’”ansia sociale”, la fatica di conformarsi e costruire un’identità mia. Tutto ciò impastato con tempeste ormonali, innamoramenti, la necessità di STUDIARE sodo. Che fatica. E’ vero i compagni e le compagne erano nella nostra stessa tempesta, nello stesso slancio vitale e narcisistico.
Il liceo (Copernico)... I momenti più belli negli anni più duri ..
Sicuramente, gli anni in cui sono nate le amicizie più forti, che hanno visto tutto di noi! Come dice Michela Murgia : "Le amicizie pluridecennali sono un bene raro che va molto mantenuto, perché sono fonte dell'unica cosa che non si può ripetere: il tempo. Sono quelli che custodiscono il ricordo della ragazza o del ragazzo che eri, che conoscono la fatica che hai fatto per essere la donna o l'uomo che sei, che ricordano l'entusiasmo che avevi e quello che é rimasto, gli errori da cui ti sei salvata/o e quelli da cui ti hanno salvato loro. Non sono solo amici: sono testimoni e complici. Nel tribunale ostile che a volte é la vita, guai a non averne."